Lavoro con Interni dal 1990, oggi arrivato ad essere protagonista del più importante evento italiano nel mondo del design, per me significa poter godere di un punto di osservazione importante e indipendente, decifrare volti e storie attraverso percorsi e immagini: il 2024?
Parola esatta per definire il clima del salone 2024 è EUFORIA. L’evento è ormai spaccato in due, il salone e il fuorisalone, ma le luci illuminano solo il secondo. E nel fuorisalone il clima euforico (dal greco eu=bene phérō=portare) ha illuminato la città, la gente, le idee, i desideri resi concreti da installazioni ed eventi senza sosta e senza confini. Al salone, anche se non è mancato un contagio, è rimasto lavoro, business, non “porta-bene”, è una cosa seria, e l’euforia che serpeggiava negli scorsi anni lasciata al buon ricordo.
La distinzione appare netta indipendentemente da numeri e statistiche ricavate da dove piace, nel salone si vende o meglio si commercia, fuori si costruisce la brand reputation, quella che dà fiducia e avvicina il consumatore e per fare questo serve un clima che “porta-bene”, cioè euforico, operazione normalmente complessa, ma che trova in una brillante e di suo già euforica Milano un terreno fertile alimentato dalla convinzione che non è qui che si vende (cioè, fallimento obiettivo finale zero) qui solo brand e scintille.
Ci sono aziende che sono brand formati che non mancano certo l’appuntamento per rafforzare, ci sono aziende che iniziano un percorso, ci anche sono aziende a cui mancano le basi, la visione e la filosofia, e che semplicemente contribuiscono ignare con le bollicine a loro spese, non sono poche.
Quindi, avrei una sintesi molto positiva di questo 2024, lamento solo una stasi di idee e proposte che, se anche l’euforia o gli investimenti sanno ben nascondere, potrebbe nascondere un embrione di decadimento se l’anno prossimo non ci sarà una svolta, perché l’euforia è importante, ma è altrettanto importante che non sia fatta solo di bollicine.